Di Cristiano Preiner
Con l’apertura della sessione autunnale dei lavori parlamentari arriva quasi in contemporanea anche la prima polemica scatenata dalle parole del presidente dell’Assemblea Nazionale László Kövér. Intervenuto di recente in una trasmissione di informazione politica dell’emittente radiofonica Infórádio, Kövér ha sostenuto che il parlamento dovrebbe lasciare un maggiore spazio di manovra ai governi.
Di seguito le parole del passaggio contestato: “Io ritengo più normale, indipendentemente dai governi che si avvicenderanno nelle prossime legislature, che il parlamento si occupi solo della creazione delle regole di garanzia fondamentali e che dia una delega al governo durante i quattro anni (del mandato ndr)”. Sollecitato in particolare da una domanda dell’intervistatore ha confermato che si tratterebbe di “una sorta di governo per decreti (rendeleti kormányzás), senza però infelici rievocazioni del passato”. Infine ha sottolineato quanto per lui sia molto più ragionevole che il parlamento impegni le sue energie in misura maggiore nell’attività di controllo dell’esecutivo. Ritroviamo il pensiero di Kövér in un’intervista speciale pubblicata sull’attuale numero del settimanale Heti Válasz che dedica la copertina al presidente del parlamento magiaro.
Tempestiva la reazione dei leader dell’alleanza elettorale dell’opposizione, il socialista Mesterházy e l’ex-premier Bajnai, che si concreta in un comunicato congiunto. ”E’ spaventoso – si legge nel comunicato – come proprio il presidente dell’Assemblea Nazionale voglia accrescere la sfera di competenza del governo a danno del parlamento. E’ inaccettabile e minaccioso anche da parte di un politico di punta del partito di governo ossia di un partito che negli ultimi tre anni ha già dimostrato di non astenersi dalla centralizzazione del potere, dallo smantellamento dei pesi e contrappesi democratici e dalla sospensione dello Stato costituzionale ungherese.””Questo – concludono i due leader politici – è il tradimento del parlamentarismo ungherese, László Kövér deve andare via….l’Ungheria non può diventare una nuova dittatura dell’Europa.” Altrettanto pesanti le critiche provenienti dall’opposizione di destra dello Jobbik secondo le quali il FIDESZ ”vorrebbe fare dell’Ungheria una nuova repubblica popolare in cui il parlamento funziona come una pedina”. L’accostamento al ”regime” (rendszer) è scelto anche da László Majtényi, presidente dell’Istituto Eötvös Károly, creatura dalla Fondazione Soros, che nelle parole di Kövér ritrova analogie con il dettato della costituzione socialista del 1949 in cui era disposto il primato della potestà normativa del Consiglio di Presidenza. Secondo Majtényi ci sarebbero gli estremi per un ritorno al 1963, quando i deputati dell’Assemblea Nazionale soddisfatti del proprio lavoro ”si ritrovavano a casa per il pranzo di Natale dopo l’approvazione del bilancio, l’unica legge ad essere dibatutta e votata” nel corso dell’anno. ”Dovesse avverarsi il progetto del presidente Kövér – prevede ancora Majtényi – le decisioni più importanti riguardanti il paese verrebbero prese nelle segrete stanze.” A completare questa breve rassegna di reazioni suscitate dall’intervista del presidente dell’Assemblea Nazionale un articolo del Süddeutsche Zeitung dal titolo ”Addio al parlamento”, in cui il pubblicista colloca Kövér tra i falchi del FIDESZ e tra quelli più impegnati alla destra del partito nel trattenere frange di elettorato che diversamente entrerebbero nell’orbita dello Jobbik.
Poichè si è parlato di infelici rievocazioni storiche, tra gli esempi più menzionati dai media ungheresi troviamo il riferimento fatto dal portale fn24 a Maria Teresa d’Austria che, vistasi ostacolata dalla nobiltà ungherese nella proposta di una tassa di guerra nel 1764, non convocò più la Dieta utilizzando il decreto come sola espressione normativa. Il settimanale HVG ricorda la ”legge dei pieni poteri” con cui nel 1933 il Reichstag consegnava di fatto e per via legale tutto il potere nelle mani di Hitler. Il quotidiano Népszabadság cita invece il discorso pronunciato in parlamento il 30 ottobre 1947 da István Barankovics leader del Partito Popolare Democratico (Demokrata Néppárt) – all’epoca dei fatti primo partito dell’opposizione – sui pericoli del governo per decreti. In discussione c’era allora un progetto di legge che avrebbe conferito al governo la possibilità di disciplinare le relazioni sociali attraverso decreti per un lasso di tempo predeterminato. Uno dei passaggi più significativi dell’intervento del politico cattolico fu quello in cui sosteneva che la volontà dello Stato veniva espressa con le leggi nelle democrazie e con i decreti nelle dittature.
A questo punto sarebbe scorretto continuare senza ricordare che la durezza di alcune dichiarazioni è assolutamente commisurata ai toni della politica interna ungherese che ormai è in campagna elettorale per le elezioni della prossima primavera. Da ciò ne derivano anche i rischi di una semplificazione delle parole di Kövér ad un troppo facile parallelismo tra l’Ungheria di Orbán e la Germania di Hitler – a cui il portavoce dei socialisti Zsolt Török ha aggiunto sul suo profilo facebook quello tra Kövér e Göring – così come di una attualizzazione del citato discorso di Barankovics pronunciato, è bene sottolinearlo, in anni in cui il Partito Comunista stava progressivamente annientando chiunque ne ostacolasse l’ascesa. Difficile in questa fase esprimere un’opinione senza evitare l’esposizione al fuoco incrociato delle critiche e delle strumentalizzazioni degli avversari politici. E’ utile dunque provare a valutare le parole del presidente del parlamento ungherese al netto di considerazioni parziali. Un simile esercizio cambia radicalmente la prospettiva e l’intervento di Kövér può persino essere visto come un mea culpa se non addirittura un j’accuse nei confronti del governo Orbán e della sua maggioranza a tutto vantaggio dell’opposizione. Ad accorgersene è anche il quotidiano di sinistra Népszabadság che riporta un’ interessante analisi pubblicata sul blog dell’Istituto per un’alternativa democratica (IDEA) e che parte da un dato: il numero delle leggi (nuove o di modifica alla legislazione precedente) approvate dall’Assemblea nazionale è aumentato del 36,3% rispetto alla prima legislatura democratica del 1990-1994. Impressionanti i numeri dell’attuale ciclo parlamentare, che ha già superato – il dato si riferisce al 31 dicembre scorso – l’intera produzione legislativa del quadriennio precedente 2006-2010 (per una visione completa dei dati si veda http://parlament.hu/fotitkar/tvalk/tv_alk_90_06.htm). L’autore dello studio, il giurista ed esperto politico Attila Antal, piuttosto che paventare la fine della democrazia considera molto più a rischio la certezza del diritto messa a dura prova da una prassi che sta toccando il suo culmine proprio sotto la presidenza Kövér che peraltro si era già pronunciato allo stesso modo sulla materia in tempi non sospetti nel febbraio del 2002 in veste allora di vice-presidente del FIDESZ e della commissione per la sicurezza nazionale.
La realtà è quella di un parlamento sempre più sovraccarico, una vera e propria fabbrica di leggi che non lascia spazio ad altri tipi di attività. Il fenomeno in Ungheria è tutto sommato fisiologico, retaggio di una cultura e di una consuetudine istituzionale post-comunista ansiosa di restituire all’organo di rappresentanza della nazione il suo vero ruolo, un ruolo svuotato da cirza mezzo secolo di inerzia assoluta imposta dal ”regime”. Il risultato è una sovra-regolamentazione a mezzo legge di fattispecie che potrebbero essere disciplinate anche con strumenti normativi alternativi. La quantità si rivela a tutto discapito della qualità. L’uso frequente quanto improprio degli emendamenti presentati prima della votazione finale aumenta inoltre le possibilità di errori e contraddizioni interne ai testi. L’esperienza ungherese tutto sommato non si discosta da quella di altri paesi in cui il parlamentarismo moderno manifesta tutti i suoi ”vizi”. Il costituzionalista István Lövétei ricorda – interpellato dal Népszabadág – come il fatto che le leggi dispongano nel dettaglio di tutti gli aspetti delle relazioni umane poteva essere comprensibile, se non proprio dovuto, duecento anni fa quando il parlamento, nell’ottica del principio della separazione dei poteri, si poneva come il naturale e unico vero contrappeso del potere esecutivo. L’introduzione del legame fiduciario tra i due organi ovvero il governo come emanazione di una maggioranza parlamentare disegnata dal voto del popolo fa in modo che le volontà dell’esecutivo e del legislativo coincidano. Sicchè resta determinante nei fatti l’indirizzo politico del governo che incarnato ora dal premier Viktor Orbán, forte di una maggioranza dei 2/3, ha tutto l’interesse di lasciare un profondo segno della sua presenza nella società. Ne è un ulteriore esempio la stessa nuova Costituzione, che è lunga, complessa e per certi aspetti ridondante se si considera l’incorporazione delle Disposizioni Transitorie, la disciplina della condotta dei senza fissa dimora e le regole sui messaggi elettorali radiofonici e televisivi. Il problema posto dal presidente Köver non è pertanto privo di fondamento. Una razionalizzazione del rapporto e degli equilibri tra i poteri passa anche attraverso una seria riflessione sulla funzione normativa dell’esecutivo.
E’ importante non fare confusione con le decisioni prese in situazioni estreme dal Consiglio di difesa e dal Presidente della Repubblica nei casi di stato di emergenza nazionale e di necessità – entrambi previsti agli articoli 49 e 50 della Legge fondamentale ungherese – e che possono ”sospendere l’applicazione di alcune leggi e derogare alle disposizioni di legge”. Si tratta di prendere in esame una categoria delle fonti del diritto che pur lasciando la titolarità della funzione legislativa primaria alle assemblee, consente agli esecutivi l’esercizio della competenza normativa. In altre parole gli atti emanati dal governo vengono ”perfezionati” dalle assemblee attraverso un intervento preventivo o successivo. Nel primo caso il parlamento conferisce una delega (ed è il caso che più si avvicina alle parole di Kövér) che definisce i tempi e i limiti a cui il governo deve attenersi. Il modello più vicino a noi è proprio l’articolo 76 della Costituzione italiana sui decreti legislativi e/o delegati come pure l’articolo 38 della Costituzione francese sulle ordinanze. Il secondo caso è quello della decretazione d’urgenza in cui la discrezionalità di azione dell’esecutivo è assoluta fatto salvo poi il ripristino della “normalità costituzionale” con la conversione in legge degli atti da parte delle assemblee che valutano ex-post l’effettiva sussistenza dei motivi di necessità. E’ ancora una volta la Costituzione italiana a fornire l’esempio più calzante con l’articolo 77 sul decreto-legge. E’ abbastanza evidente che il presidente dell’Assemblea nazionale Kövér offre un rimedio ragionevole e praticabile alla luce degli esempi forniti dal diritto costituzionale comparato.
Per decongestionare l’attività legislativa del parlamento si può intervenire riconsiderando la funzione normativa dell’esecutivo e non solo quella solitamente definita primaria ovvero avente forza di legge come nei casi appena riportati. Potrebbe essere così ridiscussa ed ottimizzata la potestà regolamentare che è tra le principali prerogative di ogni governo. A tal proposito il sistema delle fonti ungherese, che già negli ultimi anni del “regime” (con la legge XI del 1987 sulla legislazione) catalogava le materie sottoposte alla riserva di legge, rimanda al terzo comma dell’articolo 15 della Costituzione del 2012 secondo cui il governo “emana decreti su materie che non rientrano nella competenza riservata della legge, sulla base di un’autorizzazione prevista dalla legge”. Potrebbe non essere propriamente la soluzione offerta da Kövér e la conferma viene dal quarto comma dello stesso articolo dove si determina che “i decreti del governo non possono essere in contrasto con le leggi.” Questa subordinazione non depotenzia tuttavia la funzione dei regolamenti che, se pure siano atti formalmente amministrativi, hanno spesso nella sostanza i caratteri della generalità e dell’astrattezza tipici delle leggi che provvedono ad implementare e finanche derogare.
Quanto sinora esposto dimostra come sia possibile impegnare il governo senza “danneggiare” il parlamento. In più l’Assemblea nazionale ha modo di recuperare il tempo necessario all’esercizio di un’altra sua funzione non meno importante, e pure citata da Kövér, quella di controllo sull’esecutivo. Rientrano in questa categoria le interpellanze, le interrogazioni e l’attività di controllo delle commissioni, tutti strumenti previsti dall’articolo 7 della Costituzione magiara. Considerati i numeri che ha il Primo Ministro Orbán che può contare su di una maggioranza dei 2/3 in parlamento, ogni dichiarazione o proposta in favore di un presunto rafforzamento del governo crea un corto circuito nelle opposizioni dove mai come si è visto in questo caso l’allarme democratico è più ingiustificato. Non si può confondere la politica con le istituzioni e le regole che ne disciplinano il funzionamento. Ciò vale in primis per chi governa che è chiamato a non abusare del ruolo, ad esercitare un maggiore senso di responsabilità ed a perseguire politiche inclusive del favore delle opposizioni. Altresì non si può far pesare ad una forza politica il possesso di una maggioranza qualificata come quella dei 2/3 ottenuta sulla base di un voto democraticamente espresso. Si possono invece discutere valide soluzioni durature che prescindano dalle contingenze politiche del momento.
Fonti:
www.mkogy.hu (sito ufficiale del parlamento ungherese)