di Marzia Rosti*
Il 9 agosto si è celebrata la Giornata Mondiale dei Popoli Indigeni, che si stima ricomprendano oltre 400 milioni di individui distribuiti in almeno 80 paesi e che rappresentino 5.000 culture e 6.700 lingue delle 7.000 esistenti. Essi vivono in differenti situazioni dal punto di vista demografico, territoriale, sociale e politico, che vanno dalle popolazioni in isolamento volontario sino a comunità inserite in contesti urbani. La Giornata Mondiale è stata proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1994, per ricordare il giorno in cui si svolse nel 1982 la prima riunione del Gruppo di lavoro sui Popoli Indigeni delle stesse Nazioni Unite.
In America Latina, dove si stima che i popoli indigeni siano circa il 9,8% della popolazione totale pari a 58 milioni di individui, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) e la Relatoría Especial sobre Derechos Económicos, Sociales, Culturales y Ambientales (REDESCA) in un comunicato congiunto (https://www.oas.org/es/CIDH/jsForm/?File=/es/cidh/prensa/comunicados/2021/207.asp)
hanno esortato gli Stati dell’area non solo a riconoscere i diritti dei popoli indigeni, ma soprattutto ad aumentare gli sforzi per proteggere i loro territori da progetti di sfruttamento delle risorse naturali lì presenti, rammentando il ruolo essenziale che essi – sia i popoli che i territori – svolgono per la protezione della natura e della biodiversità (si rammenta che 6 dei paesi con la maggiore biodiversità del pianeta sono latinoamericani: Brasile, Colombia, Ecuador, Messico, Perù e Venezuela).
Un’attenzione – si aggiunge – che deve essere anche volta a proteggerli dalla pandemia e a garantire loro l’accesso alle vaccinazioni contro il Covid-19.
* Professore Associato di Storia e Istituzioni delle Americhe presso l’Università degli Studi di Milano.