I negoziati “Minsk II”: un commento sulle conseguenze a livello costituzionale

di Edoardo Da Ros

Tra l’11 e il 12 febbraio 2015, i capi di Stato di Russia, Ucraina, Francia e la Cancelliera tedesca si sono riuniti a Minsk con lo scopo di concordare le misure necessarie a uscire dalla crisi in corso nelle regioni orientali dell’Ucraina. Le misure, contenute in un protocollo d’intesa, chiamato convenzionalmente “Minsk II”, includono un “cessate il fuoco” tra le parti e indicano un piano per la risoluzione politica del conflitto. Il pacchetto di misure sembra tuttavia non offrire soluzione alla cruciale questione del controllo della frontiera ucraino-russa.

 

Tra le disposizioni contenute nel protocollo [1] siglato a Minsk dai rappresentanti del c.d. “Gruppo di contatto” è importante soffermarsi sulle condizioni ivi poste per il ripristino dell’autorità del governo ucraino sui confini condivisi con la Russia nelle aree a controllo separatista.

 

L’importanza di questo punto per il governo ucraino emerge rilevando che nei mesi precedenti, nelle regioni di Donetsk e Luhansk, alcune migliaia di cittadini russi (3000 il numero minimo confermato da entrambi i fronti [2]) hanno attraversato i confini con l’Ucraina senza incontrare resistenza, andando a rinforzare le milizie delle autoproclamate “Repubbliche popolari” di Donetsk e Luhansk (DNR e LNR).

 

Il documento approvato a Minsk indica un processo di risoluzione politica della crisi come requisito per il ripristino della sovranità del governo ucraino sui confini nelle aree a controllo separatista. Tale processo è articolato in quattro fasi:

 

1) Entro il 14 marzo 2015 il parlamento ucraino è chiamato a individuare i confini delle aree sotto controllo delle autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk (Punto 4 del Protocollo “Minsk II”). Nel farlo dovrà basarsi sulla linea di demarcazione stabilita dal memorandum di Minsk del 19 settembre 2014. A queste aree si applicherà la legge “Sull’ordinamento speciale di autogoverno in alcune aree delle Regioni di Donetsk e Luhansk” già adottata a settembre 2014 [3].

 

2) Lo svolgimento di elezioni locali secondo i principi di correttezza e trasparenza fissati dall’OSCE/ODIHR (Punto 13). Un passaggio necessario a dotare gli abitanti di queste regioni di rappresentanti democraticamente legittimati a condurre negoziati con le istituzioni ucraine sul decentramento amministrativo.

 

3) Il completamento di una riforma costituzionale che dovrà mettere nero su bianco il promesso decentramento amministrativo, chiarendo i limiti dell’autonomia concessa alle neonate regioni “a statuto speciale” (Punto 12). Il processo di emendamento della carta costituzionale dovrà avvenire successivamente all’approvazione di leggi ordinarie che stabiliscano permanentemente lo status speciale delle regioni.

 

4) Soltanto al termine di queste tre fasi potrà tenersi un confronto tra governo ucraino e rappresentanti delle aree a statuto speciale sul futuro dei confini di queste regioni con la Russia.

 

Per quanto riguarda l’individuazione puntuale delle aree cui applicare lo status speciale, si deve considerare che alcuni importanti luoghi di frontiera non appartengono chiaramente a nessuna delle due parti. In primo luogo perchè le disposizioni di Minsk II (Punto 4) stabiliscono che la Verchovna Rada adotti una decisione basandosi su quanto stabilito col memorandum di Minsk del 19 settembre 2014, vale a dire prima che le milizie separatiste riconquistassero territori che avevano perso tra luglio e agosto 2014. La differenza tra la porzione di territorio al momento sotto controllo di DNR/LNR e quella ad esse attribuita a settembre sarebbe di circa 500 km quadrati [4].

 

Per quanto riguarda le elezioni locali, firmando il documento, le autorità delle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk si sono impegnate (Punto 12) a far sì che queste si svolgano secondo gli standard di competitività, legalità e trasparenza stabiliti dall’OSCE/ODIHR. L’organizzazione con sede a Varsavia si è già impegnata formalmente a inviare una missione di osservazione elettorale [5]. Volgendo uno sguardo alle precedenti consultazioni del novembre 2014, bisogna rilevare che esse sono state marcate da violazioni delle norme internazionali in materia di elezioni [6] e dall’assenza di osservatori riconosciuti al di fuori dell’area ex sovietica.

 

Anche per raggiungere un accordo sugli emendamenti alla Costituzione, gli ostacoli sembrano essere rilevanti. A suggerire tale posizione giocano visioni discordanti sia all’interno del mondo politico ucraino, sia all’esterno.

Dal punto di vista interno, non deve sfuggire che i gruppi di pressione rappresentati nel parlamento ucraino [7] hanno interessi divergenti quando non contrapposti sul futuro delle regioni orientali. Oltre all’autonomia politica di cui godranno le regioni, è importante domandarsi quale grado di indipendenza economica e l’ammontare dei trasferimenti che esse riceveranno da Kiev.

Inoltre, alle neoelette autorità delle regioni “a statuto speciale” sarà attribuito anche un non precisato livello di influenza nella scelta delle figure apicali di tribunali e procure (note al Punto 11). È evidente che i governatori di altre regioni potrebbero nutrire interesse ad ottenere livelli di autonomia simili dalle autorità centrali. Ciò porrebbe i presupposti per una federalizzazione dell’Ucraina imposta dall’interno del paese. Questo sembra particolarmente vero per l’oblast’ di Dnipropetrovsk [8].

 

I citati fattori di politica estera attengono in particolare al diritto concesso alle future regioni autonome di formare “sulla base di decisioni dei consigli locali” propri reparti di polizia “al fine di garantire l’ordine pubblico”. Una formulazione (note al Punto 11 del Protocollo) molto vaga, seguendo la quale è possibile prevedere la formazione di qualunque forza armata, dalla polizia doganale [9] a un vero e proprio esercito.

Vale inoltre la pena di rilevare che la riforma costituzionale potrebbe vertere sulle competenze in politica estera delle nuove regioni a statuto speciale. Il governo ucraino si impegna a formalizzare l’obbligo di cooperare con le neonate regioni a statuto speciale nei rapporti transfrontalieri con la Russia (Punto 11 del Protocollo). Questa formula, con la sua ambiguità, potrebbe celare il divieto per il governo ucraino di interferire nelle relazioni bilaterali tra Russia e le regioni autonome. Un’eventualità che assume consistenza, considerata la facoltà concessa alle neonate regioni autonome di stipulare accordi bilaterali di cooperazione con la Russia (previsti dall’articolo 8 della legge “Sull’ordinamento speciale di autogoverno in alcune aree delle regioni di Donetsk e Luhansk”).

 

Il protocollo “Minsk II” individua un percorso politico per il ripristino dell’autorità del governo ucraino sui confini con la Russia nelle aree a controllo separatista.  La vaga formulazione di alcuni punti del protocollo e la oggettiva complessità di rispondere alle esigenze di decentramento ivi poste sembrano porre al governo ucraino ostacoli difficilmente superabili. Il peculiare funzionamento della governance politica ucraina – fondato sull’influenza di magnati e sulla difesa dei loro interessi particolari a scapito di quello generale – appare un fattore fortemente limitante in questo senso. Alla luce di ciò, è difficile prevedere se il protocollo “Minsk II” rappresenti la soluzione della questione dei confini russo-ucraini nelle aree sotto controllo separatista.

 

 

Fonti:

 

www.osce.org

 

www.rada.gov.ua

 

www.osw.waw.pl

 

www.lenta.ru

 

www.reuters.com

 

www.rt.com

 

 

 

 

 

Note:

 

[1] Il documento è accessibile in lingua russa sul sito dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).

 

[2] Aleksandr Zacharčenko, autoproclamato primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk ha ammesso la presenza di un numero tra 3.000 e 4.000 volontari russi nelle file delle milizie separatiste. Altre fonti non separatiste confermano queste cifre: http://news.sky.com/story/1330146/ukraine-3000-russian-troops-in-country

 

[3] La legge in questione è accessibile in lingua ucraina sul sito della Verkhovna Rada.

 

[4] Questo dato è stato fornito dal ministro degli esteri ucraino Pavlo Klimkin in occasione di una conferenza stampa tenutasi il 19/01 a Berlino.

 

[5] Fa riferimento in proposito la dichiarazione del direttore dell’OSCE/ODIHR (Office for Democratic Institutions and Human Rights).

 

[6] Stando all’articolo citato, avrebbero preso parte al voto anche cittadini non residenti.

 

[7] Cit. “The influence of oligarchic groups has been one of the dominant features of Ukrainian politics since the mid-1990s”. E ancora: “[…] competition between the major oligarch groups has become one of the key mechanisms in Ukrainian politics. Each group has provided individual political parties with funds and support from the TV stations which they have owned. In exchange for this, their interests have been represented in parliament and other state institutions.”

 

[8] Cit. “Public opinion polls carried out in December 2014 indicated that 34.2% of the residents of this oblast wanted Ukraine to be federalised (11% had supported this concept eight months before), this being the highest rate among all regions.” La citazione segue un precedente ragionamento sull’interesse del governatore della regione di Dnipropetrovsk a un eventuale decentramento amministrativo che riguardi anche quell’oblast’.

 

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